Allevamento sostenibile: è possibile?

Produzione

In questi ultimi anni il tema dell’allevamento di animali da carne o da latte è sempre più al centro dell’attenzione. Le problematiche e le tematiche affrontate sono svariate, dall’ecosostenibilità alla qualità di vita di queste creature nella fase di allevamento e abbattimento.

Da un lato abbiamo però una dieta sempre più ricca di carne, principalmente carne bianca, di suino o carne rossa di vario tipo. Questo aumento nel consumo è ovviamente associato ad un evidente incremento del benessere, ma ha risvolti negativi su vari aspetti della propria vita. Ciò che viene spontaneo chiedersi è se esista un modo sostenibile di allevare e consumare animali destinati al consumo alimentare?

Le problematiche del consumo di carne

Un eccessivo consumo di carne è alla base di un grandissimo numero di problematiche legate alla salute del nostro organismo. Eccesso di grassi saturi, di colesterolo, di sale derivante dagli insaccati. Tutto ciò porta ad un aumento del rischio per quanto riguarda problemi cardiocircolatori, pressione alta, accumulo di colesterolo a livello arterioso.

Altro punto da non sottovalutare è che, molto spesso, spinti dalla ricerca del risparmio acquistiamo carne di bassa qualità non soltanto dal punto di vista nutrizionale, ma anche sotto il profilo dei metodi d’allevamento, trasformazione e trattamento. Un esempio molto comune sono gli affettati di sottomarche o i wurstel, ricavati dagli scarti produttivi.

Le problematiche dell’allevamento

L’allevamento stesso è un altro fattore particolarmente importante da prendere in considerazione nel calcolare il peso che il mercato della carne ha a livello globale. Generalmente la produzione di carne bianca è considerata meno dispendiosa a livello di risorse naturali (acqua e mangimi), mentre la carne rossa richiede grandissime quantità di acqua e cibo per portare un vitellino appena nato ad un grado di sviluppo tale da consentire la macellazione.

La necessità di produrre cibo per gli allevamenti richiede maggiori campi coltivati, i quali richiedono di disboscare e tagliare alberi, con un impatto sull’ecosistema piuttosto notevole, sia a livello locale che non. La tipologia di allevamento è anche una delle motivazioni che più spingono gli attivisti ad opporsi a questa pratica. Per ottimizzare al meglio gli spazi e soddisfare la grandissima richiesta globale di carne, gli allevatori ammassano gli animali all’interno di capannoni, in celle molto strette tanto che spesso non toccano mai terra (nel caso dei polli).

Mucche e vitelli difficilmente vedranno dei pascoli ed i piccoli vengono separati dalle madri appena nati. Tutto ciò ha risvolti molto pesanti in quello che è il tema della crudeltà sugli animali, su cui sempre più aziende stanno facendo sensibilizzazione. Avendo presenti tutte queste problematiche sorge spontaneo chiedersi se esista un modo per rendere questo settore più sostenibile a livello ambientale e morale.

Un approccio diverso

Ciò che potrebbe fornire una traccia per risolvere o attenuare le problematiche esposte è proprio l’eccessivo consumo di carne. Riducendo il consumo (e lo spreco) almeno della metà si rientrerebbe in quelle che sono le quantità medie che andrebbero assunte per garantire minori rischi per la salute. Questa riduzione avrebbe di conseguenza effetti estremamente benefici su tutta la filiera produttiva.
Si andrebbe a diminuire la richiesta agli allevatori, i quali potrebbero a loro volta ridurre il carico di lavoro all’interno di propri stabilimenti. Il risultato sarebbe una miglior qualità della carne a prezzi leggermente più elevati, ma che garantiscano l’umanità nel trattamento degli animali.

Questo cambiamento richiede ovviamente campagne di massa e una mobilitazione delle istituzioni, ma nel nostro piccolo, c’è molto che si può fare. Una di queste azioni è quella di rivolgersi a macellai di quartiere e allevatori fidati, i quali mostrano i metodi di allevamento e la cura che mettono nel trattare il bestiame.

In Italia abbiamo anche molte aziende specializzate nel sostenere questi allevatori con prodotti specifici per gruppi di bestiame più piccoli e liberi. Piccoli cambiamenti di questo tipo danno una spinta al mercato secondario dei piccoli allevamenti, meno dannosi per l’ambiente e che offrono prodotti dalla qualità infinitamente più elevata. Questo processo nel lungo periodo è tale da poter fare la differenza nel rendere un settore così controverso un po’ più sostenibile e più votato al benessere dell’animale prima ancora che al profitto.

Nicola Viadotti

Sono uno scrittore di giorno, un avido lettore di notte. Amo esplorare culture diverse e studiare la condizione umana. Odio la finzione.