Ci siamo mai domandati di chi sia il mondo?
Non il pianeta, naturalmente, che non è di nessuno: parliamo di strade, edifici pubblici, strutture statali. Parliamo di quelle realtà che erogano servizi, utili o addirittura necessari a tutti, di realtà dalla cui esistenza e dal cui buon funzionamento dipende il benessere della comunità, e che sono in effetti buone misure del nostro grado di civiltà. La risposta che ci viene spontanea, l’unica risposta che vorremmo dare, è “di tutti”. E vorremmo anche pensare che la domanda stessa sia molto sciocca, o al limite, se vogliamo, molto provocatoria, perchè mette in dubbio principi che vorremmo mantenere saldi.
Purtroppo, come per molte domande che sono solo apparentemente ovvie, la risposta che vorremmo non è quella che possiamo dare; non, perlomeno, se siamo sinceri e spassionati nell’osservare prima, e attentamente, il mondo reale che ci circonda. La vera risposta ci lascerà probabilmente un o’ scoraggiati e insicuri, perchè ci troveremo costretti ad ammettere che in realtà il mondo, quel mondo che vorremmo definire “comune”, appartiene ed è fatto in pratica soltanto per chi è sano, è giovane, non presenta alcun tipo di handicap. Per gli altri, per chi è anziano e ha perso le forze, per chi ha problemi sensoriali, per chi per qualche genere di handicap non ha più autonomia motoria, quello stesso mondo a cui hanno tutti pieno diritto è costellato di ostacoli e di barriere. E di abbattimento barriere architettoniche è giusto parlare, come un esempio lampante di un problema con tante sfaccettature.
Per affrontare il problema, è buona cosa partire dal conoscerlo: domandiamoci quindi, per prima cosa, che cosa SIA una barriera architettonica. Ne abbiamo una definizione elegante e completa, che recita “una barriera architettonica è qualsiasi elemento costruttivo che impedisca, limiti o renda difficoltosi gli spostamenti o la fruizione di servizi”. Purtroppo, come tutte le definizioni, anche questa ci dice cosa sia l’oggetto della nostra ricerca, ma non necessariamente ci aiuta a trovarlo nel mondo reale: e se le nostre gambe sono forti, la nostra schiena dritta, e i nostri occhi sani, può esserci difficile immaginare il mondo dalla prospettiva di chi non vede, o non cammina autonomamente. Per queste persone, è barriera una rampa troppo ripida, un bancone troppo alto, una scala anche solo di pochi gradini: ostacoli e complicazioni per molti di noi inesistenti, ma per altri fra noi assolutamente insormontabili.
Tutto questo perché a trasformare un elemento costruttivo in una barriera architettonica non è la natura dell’elemento, ma il possibile handicap di chi si trova a fronteggiarlo. L’elegante doppio scalino non è un problema – finché non deve superarlo una sedia a rotelle; e il sentiero in ghiaia, che al passante medio può semplicemente risultare scomodo, può diventare seriamente pericoloso per un anziano con difficoltà motorie. Abbattere tali barriere richiede quindi innanzitutto un serio sforzo per riconoscerle, con un occhio capace di immedesimarsi nei multiformi problemi della disabilità; e successivamente, uno sforzo progettuale ed economico per modificare, o per integrare con strumenti di supporto qualora la modifica diretta non sia possibile, le strutture che non presentano un giusto grado di accessibilità. È una battaglia per la civiltà.